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Gianpaolo Lazzaro

Gianpaolo Lazzaro (Padova 4 febbraio 1911 – Milano 20 dicembre 1977) è stato un pittore attivo nelle avanguardie italiane dagli anni Trenta ai Settanta. I suoi quadri sono firmati con il solo nome: Gianpaolo.

Dopo aver studiato a Milano, all’Accademia di Brera, nel 1927, a soli 16 anni, accompagna in Siam (oggi Tailandia) Francesco Dal Pozzo, chiamato a insegnare disegno dalla Reale Accademia di Bangkok. Qui il giovane artista tiene la sua prima mostra, accolta con favore dalla stampa locale (Bangkok Daily Mail, 8 settembre 1928).

Trascorre un anno in Siam, lasciando che le sue opere ne assorbano le atmosfere, poi rientra a Padova. A 18 anni espone alla XVII Biennale di Venezia.

Nel 1931 si trasferisce a Milano. Nel 1934 vince il concorso per il cartellone pubblicitario della II Biennale Cinematografica di Venezia.

Nel 1935 combatte in Africa Orientale Italiana (Somalia, Abissinia).

Sopravvive alla guerra coloniale e torna a Milano nel 1937 (molto di quei deserti africani resta nella sua pittura). Sono anni di formazione: lavora con Sironi, diventa amico di Lucio Fontana, collabora alla rivista Natura, dove incontra Munari.

Nel 1940 viene richiamato sotto le armi. Un anno dopo sposa una ragazza di 16 anni, Bruna Gualazzi, che gli sarà accanto per tutta la vita.

Scaduta la licenza matrimoniale parte per la campagna di Russia. Nel 1944, in Liguria, prende parte alla Resistenza. La moglie ha appena avuto un bambino, Claudio, ma a volte lo accompagna nelle sue missioni.

Nel 1945 Gianpaolo torna a Milano e organizza, al Circolo italo-americano della stampa, la Prima mostra d’arte contemporanea moderna, assieme a Carrà, Campigli, De Chirico, De Pisis, Manzù, Migneco, Morandi e Sassu.
Dal 1946 al ’56 una serie coerente di opere lo fanno considerare tra i precursori: apparizioni spaziali, paesaggi lunari, corpi sospesi, attrazioni cosmiche. “Dipinge fantasmi di cose che somniando vede”, scrive di lui nel 1947 Enrico Somaré. E Sergio Solmi, sempre in quell’anno: “Gianpaolo, costretto ad allontanarsi dall’arte per le fortunose vicende della guerra, vi è oggi tornato con nuovo ardore. Il suo è un ideale di pittura trasognata e poetica. Gianpaolo aspira a vivere in un luogo ideale e incorruttibile – età dell’oro, isola beata, sospensione fuori del tempo – in un clima di pacata meditazione”. Un’interpretazione che Orio Vergani condivide: “Un tempo una pittura come quella di Gianpaolo sarebbe stata inquadrata nei confini dell’elegia”.

Nel 1949 Carlo Cardazzo, collezionista, editore e mercante d’arte, gli organizza una personale alla Galleria del Naviglio.

Nel 1954 Dino Buzzati, che si riconosce nel mondo creativo di Gianpaolo, gli dedica un racconto: “Breve dialogo tra il pittore Gianpaolo e un vecchio eremita da lui incontrato nel deserto del Kalahari”. È l’anno in cui la Rai comincia a trasmettere programmi televisivi. Il telegiornale delle otto, in occasione di una mostra di Gianpaolo alla Galleria Montenapoleone, alleste un set in cui Buzzati e Gianpaolo, avvolti dalla nebbia artificiale, si muovono tra sagome che riproducono i quadri dell’artista.
Gianpaolo potrebbe capitalizzare, ripetendosi al servizio del mercato, invece cambia registro: “Forse gli mancava l’istinto del successo, forse era troppo educato. Forse troppo colto”, commenterà Mario Perazzi sul Corriere d’Informazione (4 gennaio 1978). Fatto sta che, proprio nel momento in cui tutti gli chiedevano i “paesaggi lunari” della mostra sponsorizzata da Buzzati, Gianpaolo abbandona il suo universo “pacato” e la solidissima tecnica pittorica d’impianto classico, per avventurarsi nei turbini dell’informale.

Dal 1957 realizza quadri che chiama “Cosmocronache”, sovrapponendo agli elementi dipinti intagli leggibili di carta stampata, frammenti di vita e problematica sociale, alla ricerca di una sintesi magica tra il mondo della realtà quotidiana e quello della creazione fantastica. “Composizioni in cui la cronaca diventa apparizione, diario di consuete meraviglie”, scrive Franco Russoli.

Ma la sua ricerca, come quella del vitale movimento artistico milanese degli anni 50 e 60, non sempre viene capita e questo lo porta ad accogliere con entusiasmo l’invito di Buzzati a scrivere sulla Domenica del Corriere, dal 1956 e per molti anni, una serie di articoli divulgativi sul tema “I perché dell’arte moderna”. In uno di questi (10 giugno 1962) si registra come la critica italiana ignori completamente il più innovativo degli artisti italiani, Piero Manzoni, che morirà un anno dopo. Gianpaolo dialoga con Enrico Castellani, amico e collaboratore di Manzoni, e con gli artisti più rappresentativi del periodo, ma non si lega ad alcun manifesto, continuando il suo percorso in solitario.

Enrico Castellani, accanto a Gianpaolo, a una sua mostra

Nel 1967, a Padova, sua città natale, viene organizzata una collettiva in cui espone con i tre amici di sempre: Roberto Crippa, Gianni Dova e Lucio Fontana.
Negli anni 70 inizia a dipingere su strette tavole verticali: “Mi parvero finestre”, scrive Perazzi, “feritoie aperte su tutto quello che c’è, fuori (e dentro) di noi”.

Lucio Fontana a una mostra di Gianpaolo

Gianni Dova nello studio di Gianpaolo

Nel 1977, a Milano, la sua ultima mostra, alla Galleria Zunino. Nella presentazione Gillo Dorfles scrive: “Già negli anni del suo impegno che potremmo definire metafisico, nei dipinti dove metaforiche nature morte aleggiavano tra relitti di un ideale naufragio, o più tardi quando in pieno periodo informale aveva saputo restringere a pochi moduli cromatici le sue trame pittoriche, o ancora nella serie delle cosmocronache, Gianpaolo si era adoperato per mantenere il suo mondo artistico fuori dai canoni prescritti, scartando tanto un facile realismo aneddotico che un altrettanto facile astrattismo geometrico.
Oggi, finalmente, in questa sua ultima mostra di strisce – questi sottili spiragli di colore lavorato a intense stesure tonali che si alternano in bande parallele – l’artista ha raggiunto il momento di estrema purificazione del suo mezzo espressivo”.

Gillo Dorfles nello studio di Gianpaolo